di Claudia Viggiani
Nel Museo Archeologico Nazionale di Palazzo Massimo a Roma sono conservate le decorazioni in stucco e i dipinti che decoravano alcuni ambienti di una delle più lussuose residenze suburbane d’età augustea, fatta costruire dallo stesso Ottaviano forse in occasione delle nozze della figlia Giulia con Marco Vipsanio Agrippa nel 21 a.C..
La villa – poi denominata Villa Farnesina – fu presto abbandonata a causa delle continue esondazioni del Tevere e riscoperta solo nel 1879, dopo 1900 anni di oblio, durante i lavori di sistemazione degli argini del fiume.
In quell’occasione i resti delle strutture e degli elementi decorativi furono messi in salvo e successivamente portati nel museo nel quale si trovano tuttora, inseriti in un moderno ed eccellente allestimento che ne esalta la bellezza e ne garantisce la migliore conservazione e fruizione.
Gli stucchi imperiali di Villa Farnesina, realizzati sulle volte a botte delle camere da letto, dette cubicola, furono eseguiti a mano libera con una lavorazione raffinata e complessa che può essere paragonata per ingegno ad un saggio di oreficeria. Non erano colorati e, ancora oggi, si presentano di colore bianco.
La delicatezza e la naturalezza del modellato, reso con uno stile impressionistico e disinvolto, hanno permesso di elaborare complessi schemi ornamentali, con campiture di forme diverse, che inquadrano scene ispirate a riti di iniziazione misterica; paesaggi idillico-sacrali e soggetti dionisiaci, spesso tratti dalla pittura coeva.
Purtroppo ad oggi non esiste una pubblicazione esaustiva che spieghi al meglio i soggetti trattati nella decorazione a rilievo dei soffitti e del notevole repertorio iconografico, vario e fantasioso, ma sembra chiaro che questi siano molto interessanti e suggestivi.
Alcuni soggetti rappresentati e la qualità della lavorazione, un impasto di calce e polvere di marmo, plasmato in maniera eccellente, avvicinano gli stucchi imperiali di Villa Farnesina a quelli della Basilica Neopitagorica di Porta Maggiore, risalente ai primi decenni del I secolo d.C., suggerendo l’ipotesi di una stessa provenienza delle maestranze impiegate nei due prestigiosi cantieri.