di Claudia Viggiani

Ci sono opere d’arte che sono più affascinanti di altre, non solo perché compiute da insigni personalità ma anche per lo stupore che suscitano e per il mistero che, spesso, avvolge la loro creazione. Io per esempio amo molto i Cherubini che Gian Lorenzo Bernini concepì per il complesso scultoreo che raffigura la morte di Ludovica Albertoni.
Nella chiesa di San Francesco a Ripa, nella navata in fondo a sinistra, si trova la cappella acquistata nel 1622 dal marchese Baldassarre Paluzzi Albertoni per dedicarla alla sua antenata Ludovica Albertoni, terziaria francescana, morta nel 1533 a sessant’anni e subito venerata come una santa. Quando, nel 1671, il culto della beata Ludovica fu confermato, Angelo Altieri Albertoni, nipote di papa Clemente X, commissionò a Giacomo Mola e a Gian Lorenzo Bernini il rifacimento e l’abbellimento della cappella così come la vediamo oggi.
La scultura in marmo di Carrara, raffigurante la morte della donna, realizzata dall’anziano ed esperto Bernini, entro il 1674, è famosissima, così come il suo bozzetto conservato al Victoria and Albert Museum di Londra.

Gian Lorenzo Bernini, Beata Ludovica Albertoni, 1672, Victoria and Albert Museum

Gian Lorenzo Bernini, Beata Ludovica Albertoni, 1672, Victoria and Albert Museum, Londra © Victoria and Albert Museum

Meno celebre è invece la storia dei lavori che Bernini portò avanti per trasformare la modesta cappella del Mola nel prezioso palco sul quale allestire la messa in scena del transito della beata Ludovica. Bernini sfondò la parete di fondo e l’ingrandì, giusto il necessario per montare il catafalco sul quale alloggiare il letto in legno sul quale è disteso il corpo della donna.
Sulle pareti laterali della nicchia creatasi, quasi un arcosolio di antiche memorie, Bernini aprì le finestre, nascoste al pubblico, ma necessarie per illuminare, in maniera naturale, lo scenario nel quale si aggirano, in un tripudio di decorazioni in oro, dieci meravigliose teste di cherubini in stucco, ai lati della pala raffigurante la Madonna con Bambino e sant’Anna di Giovanni Battista Gaulli, noto come Baciccio. La chiusura della finestra a destra limita oggi l’effetto incantevole che l’illuminazione, dalla mattina alla sera, nel compiersi della giornata e della vita, doveva dare all’appassionante composizione berniniana.

morte di Ludovica Albertoni

Gian Lorenzo Bernini, Beata Ludovica Albertoni, 1671, Chiesa di San Francesco a Ripa, Roma

Arrivata davanti alla cappella chiedo di poter accedere per vedere da vicino la composizione e, in particolare, i cherubini. Ogni passo che compio mi rende sempre più felice e una lieve paura mi agguanta al pensiero che possano dirmi di uscire perché il tempo a mia disposizione è finito.
Per fortuna passano minuti, lunghi, tanti. Un tempo immobile che non sembra scorrere né per me, né per la scultura che rimane fissa lì, identica a sé stessa, così come è stata scolpita. Però qualcosa di nuovo improvvisamente accade. Un bagliore entra dalla finestra di sinistra e muove, come il vento, le ali e i capelli degli amati cherubini che sorridono mentre cantano.
Non c’è poesia più grande della realizzazione di un sogno. Bernini mette in scena le sue creazioni, le sue visioni, il suo sentire: la sua idea di trapasso e di condivisione del passaggio nell’aldilà. Bernini ha scolpito il “volo” dei cherubini e i loro sentimenti. Io e loro siamo spettatori e attori di qualcosa che non sta accadendo realmente ma solo nell’immaginazione del grande artista, tecnico geniale e maestro nello stupire. Stiamo tutti accompagnando la donna nella sua agonia mistica, nel travaglio della sua anima, nel momento cruciale della sua morte.
E io sono qui con Ludovica e con questi angeli con le due ali spiegate.
Mi avvicino ancora di più, finché posso. Cerco di capire come sono montate le teste, aggrappate al muro. Lei si agita, si contorce, forse ha paura. Porta le mani al diaframma, al cuore. Apre la bocca ed esala l’ultimo respiro mentre i cherubini la guardano, aspettandola per il volo da compiere insieme.
Vedo i volti degli angeli nella penombra e sorrido: chissà quanti giovani collaboratori di Bernini hanno lavorato qui con lui, oramai ottantenne. Abbasso gli occhi e vedo il drappo in alabastro, montato nel Settecento, in sostituzione del letto di legno di Bernini.
Esco, ma prima di allontanarmi, mi giro un’ultima volta. Senza quei cherubini, la composizione non sarebbe stata la stessa.
I dettagli, lo so, rendono tutto molto più bello.

Tratto da “Roma con i miei occhi” di Claudia Viggiani, edito da Palombi nel 2018.