di Claudia Viggiani
Il notissimo ritratto di papa Giulio II della Rovere, realizzato da Raffaello Sanzio a Roma, si trova alla National Gallery di Londra.
Annoverato tra i capolavori dell’artista, fu compiuto tra il 1511 e il 1512, nel periodo in cui Raffaello lavorava in Vaticano, sui ponteggi delle stanze che ancora oggi portano il suo nome.
Giuliano della Rovere, nato nel 1443 ad Albissola, vicino Savona, fu un politico spregiudicato, un guerriero a capo delle sue truppe, un pacificatore, un liberatore dell’Italia dai “barbari” francesi, nonché un austero pontefice, regnante dal 1503 al 1513.
Ambiziosissimo, Giulio II fu esigente e munifico mecenate, protettore di artisti tra i quali Michelangelo, Raffaello, Bramante e Pinturicchio.
La sua natura energica e “terribile”, come la definirono i contemporanei, fu quella di un principe impegnato nell’enorme sforzo di rinsaldare politicamente la potenza dello Stato della Chiesa.
Machiavelli ne Il Principe scrisse che Giulio II “procedé in ogni sua cosa impetuosamente; e trovò tanto e tempi e le cose conformi a quel suo modo di procedere, che sempre sortì felice fine”.
Nella difficoltà di dare un giudizio storico assoluto, si può affermare che Giulio II abbia incarnato davvero i due volti del Rinascimento, quello dello splendore del suo mecenatismo e quello della violenza della guerra che ha insanguinato il Cinquecento italiano.
Raffaello delinea l’immagine del papa con un tocco eccellente, con una maestria altissima e una sicurezza impeccabile. Ogni singolo dettaglio è realizzato con cura ma senza ossessioni e solo con la voglia di rendere al meglio la consistenza delle passioni che sempre si nascondono dietro ad un ritratto.
Del dipinto di Raffaello, un archetipo per tutti quelli che seguiranno, almeno sino al XIX secolo, Vasari scrisse che era “tanto vivo e verace, che faceva temere […] a vederlo, come se proprio egli fosse il vivo”.
Il pittore raffigura il papa di tre quarti, con le gambe tagliate; inquadrato da destra e con gli avambracci poggiati sui braccioli della cattedra posta davanti ad una “portiera”, una pesante tenda di colore verde, decorata dalle chiavi decussate del papato.
Il pontefice è seduto su di una cattedra di legno rivestito di velluto rosso e con le colonnine dello schienale sormontate da due grandi ghiande dorate, simboli della sua famiglia, i della Rovere.
Nonostante i divieti emanati da apposite Leggi Suntuarie che tentavano di porre freno all’esibizione sfacciata della ricchezza tramite i gioielli “Non si possino portare a ogni dito più di tre anella, e detta anella non possino avere più che una pietra preziosa o perla per mano…”, il papa sfoggia ben sei anelli cosiddetti cerimoniali, tre per mano.
Il pontefice è un tutt’uno con i simboli più forti del suo potere temporale e spirituale, la sedia gestatoria – o trono mobile utilizzato sin dai tempi più antichi per portare in trionfo faraoni, consoli e infine i pontefici appena eletti – e gli abiti che indossa: una veste talare di seta bianca plissettata; una corta mantellina, detta mozzetta, di velluto rosso con bordo di ermellino, chiusa sul petto da una serie di bottoni e dotata di un piccolo cappuccio, detto cucullo; e infine l’ampio berretto di velluto rosso filettato d’ermellino, detto camauro.
Il tutto in un’alternanza di bianco e rosso, i colori propri del vicario di Cristo a Roma emblematicamente offerti, secondo Guglielmo Durando nel suo Rationale divinorum officiorum, scritto verso il 1286, dallo stesso imperatore Costantino al pontefice Silvestro.
Accanto al manto rosso, metafora dell’autorità di origine chiaramente imperiale, ma anche di fuoco pentecostale, del sangue di Cristo, del martirio, della crocifissione e della carità cristiana, presto si affiancò l’uso della veste bianca che indicava innocenza, carità, purezza dei costumi e santità della vita.
Lo sguardo di Giulio è perso, lontano dal nostro. Non comunica con gli spettatori ma solo con sé stesso, intimamente.
È anziano, malinconico e avvilito dalle persistenti sconfitte ricevute dai francesi. La barba lunga indica il suo sentimento di profondo dolore, sottolineato anche dal gesto della mano destra che sembra allontanare dal volto il fazzoletto precedentemente utilizzato per asciugare le lacrime del dolore che lo affligge.
Con la mano sinistra stringe con forza la sedia, per frenare il bisogno impetuoso che ha di disperazione e, forse, di rabbia.
Giulio II non è più rappresentato come accadeva precedentemente, secondo un modello iconico che voleva un pontefice ritratto in una compostezza sacerdotale e solenne, ma come un mortale, prossimo alla fine della sua esistenza terrena.
Un mortale “speciale”. Egli è infatti leggermente girato verso destra, verso il lato riservato alle persone per lui importanti che però non vediamo ma che immaginiamo possano essere i suoi più stretti collaboratori e, forse, anche lo stesso Raffaello che lo ritrasse. Una persuasione subliminale che richiama alla mente la professione di fede di ogni cristiano che afferma che Gesù «è salito al cielo e siede alla destra del Padre».
Il papa che si faceva chiamare dai suoi cortigiani “alter Deus”, altro Dio in terra, si rivolge così alla sua destra come Dio?
Ipotesi da considerare visto che il ritratto era quello ufficiale dell’influente re-papa che voleva lasciare ai posteri un’immagine molto forte di sé e del potere che il suo pontificato detenne.
In questo modo il dipinto evoca una presenza soprannaturale e mette lo spettatore in condizione di avere un collegamento con l’essenza metafisica dell’essere stesso del pontefice.
Il fazzoletto bianco potrebbe così assumere anche un più profondo valore simbolico, riferibile al velo offerto dalla pia donna Veronica a Gesù per asciugarsi il sudore e detergere il suo sangue lungo la via del Calvario, secondo quanto tramandato da un popolare episodio della “Via Crucis”.
Il papa sarebbe quindi raffigurato, sotto mentite spoglie, sia come Dio, sia come Cristo, provato anch’egli dalla stanchezza di vivere ma fiero di lottare, nonostante le sconfitte e con determinazione, anche durante l’epilogo della sua vita.
All’alba del 21 febbraio 1513 Giulio II morì nella sua camera da letto nell’appartamento vaticano.
La morte del papa fu accompagnata da “un terribile vento fora de natura” che ai cronisti contemporanei sembrò essere una manifestazione prodigiosa della sua essenza impetuosa liberatasi dal corpo.
Fu sepolto in San Pietro nella cappella del Coro fatta costruire da suo zio, papa Sisto IV della Rovere.
Nel 1527 la sua tomba fu profanata e le sue spoglie furono trafugate dai Lanzichenecchi.
Nel 1610 le poche ossa rimaste furono traslate prima nella Cappella della Rovere in Santa Maria del Popolo e successivamente in San Pietro in Vincoli, nel mausoleo che Michelangelo aveva progettato per lui con immenso tormento.
Del dipinto si conoscono svariate repliche di scuola raffaellesca, a Palazzo Barberini di Roma, alla Galleria degli Uffizi di Firenze, alla Galleria Borghese di Roma e allo Städel Museum di Francoforte nonché una copia di Tiziano Vecellio del 1545 alla Galleria Palatina di Firenze.