di Claudia Viggiani
C’è un luogo di culto, nel cuore antico di Roma, a Trastevere, che da sempre occupa un posto speciale nell’elenco dei miei preferiti, la chiesa di San Benedetto in Piscinula.
Innanzitutto per le dimensioni raccolte e calde, e poi per le opere rilevanti che si possono ammirare al suo interno e che sono descritte in tutte le guide della città o in molti siti online, dalle colonne di spoglio, al pavimento, agli affreschi sulle pareti.
La chiesa è piuttosto conosciuta tra i romani anche se ogni volta incontro soprattutto stranieri, sia perché – come le guide e i siti ricordano sempre – si conserva il più piccolo campanile medievale di Roma, sia perché, in un vano di epoca precedente alla chiesa, successivamente inserito nella navata sinistra, avrebbe soggiornato san Benedetto da Norcia, il santo che unì il lavoro alla preghiera e fondò nel VI secolo il grandioso ordine benedettino.
Nato a Norcia, forse nel 480, in una famiglia di nobili origini, e giunto a Roma intorno al 497 per dedicarsi agli studi letterari, liberalibus litterarum studiis, come tramandato da “I dialoghi di Gregorio Magno” (Manoscritto n. 215, S.78, Abbazia di San Gallo, consultabile anche online), Benedetto avrebbe trascorso molto tempo del suo soggiorno romano proprio in questo luogo, dove anticamente, sempre secondo la tradizione, esisteva la casa di alcuni suoi facoltosi parenti della famiglia degli Anici.
La camera nella quale il giovane Benedetto alloggiò, la cosiddetta Cella di San Benedetto, fu incorporata – e pertanto preservata – già nella primitiva chiesa che fu innalzata, con ogni probabilità, tra la fine dell’XI e l’inizio del XII secolo.
L’ambiente, stretto e lungo, è accessibile dalla Cappella della Madonna della Misericordia e risulta angusto, privo come è oggi di una finestra.
È fuori delle forme ordinarie e ricorda più un cunicolo o un loculo che un stanza di una ricca dimora. Nonostante ciò, la cella ha qualcosa di misterioso e coinvolgente, a partire dai muri irregolari e di diversa fattura rispetto a quelli della chiesa, e l’illuminazione cupa, appannata da una luce rossa perennemente accesa.
E’ difficile pensare che un giovane e ricco studente abbia potuto vivere a lungo in uno spazio così ridotto. Ma è anche vero che per esigenze strutturali, l’ambiente originario della Domus Aniciorum, cioè della grande casa dei parenti di Benedetto, possa essere stato ridimensionato ed adattato al nuovo luogo di culto, edificato sui resti di una costruzione precedente senza dubbio a memoria del santo e del suo soggiorno a Roma.
Penso che la conoscenza e l’esperienza non sempre insegnino a comprendere alcuni misteri della storia, dell’arte e della mistica.
Ma se questo piccolo gioiello di chiesa, con un pavimento cosmatesco molto bello, è stato costruito intorno ad un più antico sacello che ne condizionò l’architettura inglobandolo, qualche motivo dovrà esserci.
E mi piace pensare che uno di questi motivi sia la presenza di san Benedetto a Trastevere.