di Claudia Viggiani

Io inciampo sempre nei sampietrini, quelle pietre in selce – da qui “sercio”, vale a dire ‘pietra’ in romano – a tronco di piramide, a base quadrata, che caratterizzano quasi tutte le strade del centro di Roma e non solo.
Se ho le scarpe con i tacchi o le ballerine, se sto attenta o se mi distraggo, se cammino lenta oppure veloce, se guardo in basso o in alto…Insomma inciampo sempre.
Non è semplice però capire perché questa elegante e calda pavimentazione, perfettamente in sintonia con i grandi monumenti di Roma ma che spesso sulle vie percorse dalle automobili e dai mezzi pubblici si solleva e si apre in parte, come il coperchio della scatola metallica del tonno, provocando danni, a volte irreparabili ai veicoli, principalmente moto e motorini, sia ostinatamente presente in questa città.
C’è chi crede perché viene realizzata con un materiale autoctono, oppure chi sostiene per la storia millenaria.
I sampietrini infatti, prima di essere usati per pavimentare la piazza dalla quale prendono il nome, piazza San Pietro, erano presenti a Roma fin dal primi secoli avanti Cristo e furono diffusamente impiegati dal XVI secolo in poi per far scivolare meglio le carrozze.
Da allora, da sempre insomma, pare, si discute ancora se l’uso di questo antico selciato romano sia corretto e adeguato oppure no alla grande metropoli, nella quale, a parte qualche sopravvissuta carrozzella trainata da poveri cavalli, di carrozze non ce ne sono più.

Il valore estetico dei sampietrini è veramente impagabile e allora se gli esperti potessero trovare una soluzione – che magari contempli un ufficio con maestranze in grado di tenere al meglio questo glorioso e apparentemente imperituro manto stradale – tutti noi saremmo più contenti.
Io non inciamperei più, forse. E continuerei a fare delle bellissime foto perché, si, devo ammetterlo, i sampietrini sono molto fotogenici.

P.S. Una volta ho incontrato una signora americana che portava orgogliosamente al dito un anello d’oro, con incastonato un piccolissimo sampietrino.