di Claudia Viggiani
Che le cose siano così, non vuol dire che debbano andare così.
Solo che, quando si tratta di rimboccarsi le maniche e incominciare a cambiare,
vi è un prezzo da pagare, ed è allora che la stragrande maggioranza
preferisce lamentarsi piuttosto che fare.
Giovanni Falcone
Gli italiani si lamentano, si lamentano tantissimo, dal nord al sud, da est a ovest, in lungo e in largo, sempre e comunque si lamentano. E sono tanto infelici.
Sono oramai anni che, dai rapporti del Censis, gli italiani risultano smarriti, incerti, in profonda crisi e per questo propensi a lamentarsi del sistema che non va, delle tasse da pagare, dei politici che rubano, degli ospedali che non funzionano, della scuola che non insegna, degli mogli, dei mariti, dei figli, delle famiglie, della squadra di calcio, del tempo e anche del cibo.
Nel 47° rapporto annuale la realtà italiana è stata giudicata “stagnante, dove circola troppa accidia, furbizia generalizzata, disabitudine al lavoro, immoralismo diffuso, crescente evasione fiscale, disinteresse per le tematiche di governo del sistema, passiva accettazione della impressiva comunicazione di massa”.
Il consorzio internazionale WIN/Gallup International, nel 2015 (annual global End of Year survey reveals a world of conflicting hopes, happiness and despair) ha rivelato inoltre che italiani sono i più pessimisti del pianeta, poiché vivono “senza speranza”.
Un terribile primato che dimostra come l’Italia, per ragioni storico-politiche, culturali e per una crisi economica protratta, ha perso totalmente la fiducia nel futuro vivendo in una paralizzante e costante preoccupazione.
Un ulteriore studio di Eurodap sostiene che il 90% degli italiani vive in un continuo stato di allarme. I media mettono in primo piano informazioni angoscianti, tragiche e scabrose, fornendo una selezione di notizie che favorisce gli stati d’ansia e di nervosismo che sconfinano nella paura, nella delusione e nella totale perdita di speranza.
Tendiamo a scoraggiarci, siamo eccessivamente sensibili ai lati negativi dell’esistenza e non vediamo in modo realistico le difficoltà che la vita ci presenta. Siamo inclini a giudizi superficiali, abbiamo tanti preconcetti e pensiamo troppo spesso che la vera – e migliore – vita sia altrove.
Per fortuna però possiamo uscire dal tunnel della negatività, per cercare di ritrovare, almeno in parte, uno stato d’animo che ci appartiene per nascita: la felicità.
Per fare questo, dobbiamo innanzi tutto evitare di frequentare chi si lamenta.
Stando alle recenti ricerche scientifiche portate avanti dalla Stanford University ascoltare per più di 30 minuti al giorno discorsi o parole intrisi di negatività nuoce a livello cerebrale. La lamentela viene infatti processata in quella parte di cervello che è normalmente destinata a risolvere i problemi, compromettendo la sopravvivenza dei neuroni dell’ippocampo – l’area deputata all’apprendimento, alla memoria e alle emozioni – fino a provocare la depressione del soggetto interessato. E’ necessario quindi limitare l’insorgenza dei problemi d’umore causati dallo stress ed allontanare dalla nostra vita coloro che di essa offrono solo un’immagine negativa e deprimente.
In secondo luogo è sempre più importante essere coinvolti in attività culturali e fruire, in particolare, dell’arte.
Il piacere del coinvolgimento in attività culturali effettivamente aumenta il benessere individuale. Amare l’arte fa bene e circondarsi di cose belle solleva il morale perché ci permette di vivere esperienze indimenticabili e mutevoli. Più opere d’arte vediamo e più felici siamo; con l’osservazione diretta aumentiamo le conoscenze di una piacevole sfera della realtà e stimoliamo le nostre migliori intuizioni.
In poche parole, attraverso i nostri sensi, accresciamo le memorie positive e nutriamo il nostro spirito di qualcosa di bello che genera pensieri positivi nella nostra mente.
Dedicare più tempo alle attività culturali – anche condivise – potrebbe perciò dimostrarsi un approccio terapeutico preventivo al malessere psicofisico e contribuire perfino a ridurre la spesa dedicata alle cure farmacologiche e all’ospedalizzazione.
I musei e i luoghi della cultura sono e devono tornare ad essere sempre di più i luoghi dove poter curare lo spirito e dove condividere le sensazioni di piacere e di ricompensa per una vita bella e degna di essere vissuta.
Bibliografia
Grossi E., Ravagnan A., Cultura e salute. La partecipazione culturale come strumento per un nuovo welfare, 2013, Springer ed.
De Botton A., Armstrong J., L’arte come terapia, 2013, Guanda ed.
Immagine
Raffaello Sanzio, Madonna Sistina, 1513-1514 circa, Gemäldegalerie, Dresda