di Claudia Viggiani
Salgo i gradini laterali della Scala Santa per raggiungere il Sancta Sanctorum, ovvero quella che fu la cappella riservata ai pontefici nell’antico patriarchìo, il palazzo papale, costruito nel IV secolo ed utilizzato fino a tutto il XIII secolo in Laterano.
L’imponente e grandioso edificio occupava quasi tutta l’area oggi compresa tra la Basilica di San Giovanni in Laterano, la Scala Santa, la Pontificia Università Lateranense e l’Ospedale di San Giovanni, e inglobava al suo interno la preziosa cappella costruita sui resti di un oratorio dedicato a san Lorenzo, l’Oratorium sancti Laurentii de Palatio.
Il palazzo pontificio medievale fu però demolito alla fine del XVI secolo da papa Sisto V Peretti (1585-1590) e ricostruito nelle forme attuali dal suo architetto di fiducia, Domenico Fontana.
Allorché il pontefice decise di distruggerlo, il patriarchìo era disabitato, inagibile e incustodito da circa 250 anni, da quando la corte pontificia si era trasferita ad Avignone, in Francia.
Per quasi un secolo la residenza fu abbandonata e, solo a partire dalla fine del XIV secolo, fu in parte nuovamente utilizzata.
I papi, che erano ritornati a vivere a Roma dal principio del XV secolo, preferirono però risiedere in una dimora più sicura, posta sul colle Vaticano, già fortificato e vicino alla roccaforte della città, Castel Sant’Angelo, così da garantirsi una difesa migliore.
Peccato che il devastatore Domenico Fontana, responsabile dei lavori di demolizione del patriarchìo, non si sia fermato davanti alla colossale Aula dei Concili, fatta affrescare da papa Bonifacio VIII a Giotto, e lunga, secondo lo stesso Fontana che la misurò, circa 75 metri, larga 20, con il tetto sostenuto da 22 incavallature e undici grandi nicchie aperte nelle pareti laterali. In compenso però Sisto V decise di salvare il Sancta Sanctorum, inglobandolo nell’edificio della Scala Santa, da lui stesso fatto costruire intorno alla cappella medievale.
All’interno del patriarchìo medievale, la cappella costituiva un luogo esclusivo, destinato solo a pochi privilegiati. Posta nell’ala privata della residenza papale e collocata al piano superiore dell’archivio pontificio essa custodiva al suo interno alcune reliquie molto venerate, e per questo definite “le cose sante tra le sante”, i sancta sanctorum appunto.
Nel IX secolo, per questo motivo, la cappella già dedicata a san Lorenzo fu chiamata Sancta Sanctorum.
Tra le numerose reliquie conservate un tempo in questo luogo, si elencano l’immagine Acheropita (ancora presente sopra l’altare), due frammenti della croce di Gesù, i suoi sandali, gli strumenti della sua passione, una porzione della tavola dell’ultima cena (ancora esposta sulla parete nord) e altre spoglie di sante e santi. Tra queste si annoveravano anche le teste degli apostoli Pietro e Paolo, poi trasferite nel reliquiario del tabernacolo di Arnolfo di Cambio nella Basilica di San Giovanni in Laterano e il leggendario caro circumcisionis Christi, il prepuzio di Gesù bambino, del quale ammetto di non sapere molto, se non che ce ne sarebbero ancora alcuni lacerti sparsi in tutto il mondo.
Entro all’interno della cappella, eretta da papa Niccolò III Orsini (1277-1280), oltrepasso la porta che conserva ancora le massicce serrature di epoca medievale e, percorrendo il corridoio, arrivo al centro dell’ambiente meraviglioso.
Mi volto a destra e leggo l’iscrizione che mi ricorda che Non est in toto sanctior orbe locus, vale a dire che “non esiste al mondo luogo più santo di questo”.
Con Niccolò III il Laterano era diventato una vera e propria cittadella, con edifici di dimensioni diverse, che ospitavano innanzi tutto la residenza del pontefice e della curia, ma anche monasteri, saloni di rappresentanza, torri difensive e sedi di istituzioni preposte allo studio.
Mi siedo. Sono piombata nel medioevo.
La cappella fu interamente ricostruita, affrescata e decorata alla fine del Duecento, e restaurata trecento anni dopo da Sisto V che fece ridipingere la teoria dei santi nella parte alta delle pareti.
Mi guardo intorno e cerco di fissare nella mia mente tutto quello che vedono i miei occhi.
Il silenzio è d’obbligo. Ma sono sola e non saprei con chi parlare.
Penso di essere fortunata, e sorrido. Una signora mi vede attraverso la finestra della Scala Santa e mi sorride a sua volta. La gioia contamina e ci rende partecipi.
Io sono qui, mentre tutto il mondo è fuori.
Questa cappella è un gioiello raro e inestimabile del patrimonio culturale e artistico mondiale.
Apro il taccuino e inizio a scrivere.
La custode ogni tanto si affaccia per controllare quello che faccio e anche lei mi sorride. Ogni volta che apre la porta, sento le voci dei fedeli che entrano nella cinquecentesca Cappella di San Lorenzo, dalla quale anche io sono passata per giungere nel Sancta Sanctorum.
La signora è un guardiano dell’arte, della bellezza, della spiritualità e credo che lo sappia.
La sacralità della cappella mi avvolge, così come l’apparato decorativo sulle pareti.
Colonnine medievali, tortili e intrecciate, creano, in alto, l’illusione di una loggia pensile che corre su tutti e quattro i lati, ospitando le immagini di Santi e Profeti, dipinti alla fine del XVI secolo dalla cerchia di pittori attivi durante il pontificato di Sisto V, molto probabilmente riprendendo un medesimo ciclo di pitture medievali precedentemente andato perduto.
Conto le figure: sono 25. Tra di loro, al centro della parete sopra l’altare, si trova la Madonna con il Bambino, ai lati dei quali si vedono i santi Giovanni Battista e Giovanni Evangelista, dipinti anch’essi alla fine del XVI secolo.
Sulla medesima parete, sopra l’architrave, si aprono due nicchie rettangolari, poco profonde, chiuse da sbarre di ferro: erano queste che, dalla fine del Cinquecento, e per molto tempo, avrebbero custodito le preziose reliquie, rendendo questo luogo “il più santo” al mondo.
Ai lati delle celle delle reliquie sono dipinti episodi ad esse inerenti: la Consegna dei pani dell’ultima cena; la Caduta del pane dell’ultima cena; l’Angelo con la lancia nel sepolcro di Cristo; e Papa Stefano VI trasporta le reliquie al Sancta Sanctorum, attribuiti alla stessa cerchia di pittori che lavorarono per papa Sisto V.
Alzo di nuovo lo sguardo e vedo che le colonnine sono sormontate da archetti trilobi, ai lati dei quali sono incorniate delle stelle dorate, a otto punte, nel cielo blu lapislazzuli.
Sono ritornata nel medioevo e quelle stelle erranti mi ricordano le anime che, secondo Plinio, liberate dal corpo, tendono a ricongiungersi ad esse, in una dimensione divina immutabile.
Le membrature architettoniche e la cappella stessa sono opera di Cosma, marmoraro romano, qui progettista ed esecutore, che la realizzò – con la sua bottega – tra il 1277 e il 1280. È di Cosma anche il bellissimo pavimento sotto i miei piedi.
Alzo lo sguardo per ammirare la decorazione pittorica del tempo di Niccolò III: nelle vele create dai costoloni della volta, sono affrescati i simboli degli Evangelisti, mentre nelle lunette ai lati delle finestre sono raffigurate scene dei martirii dei santi Pietro, Paolo, Stefano, Lorenzo e Agnese; il Miracolo di San Nicola, santo eponimo del pontefice committente, rappresentato sulla parete adiacente mentre dona, attraverso san Pietro che lo presenta, il modellino della cappella a Cristo redentore, seduto in trono a destra della finestra.
Ai lati di ogni singola scena figurativa sono visibili grandi vasi dai quali partono tralci di vite che cadono verso due merli che beccano l’uva. Altri tralci salgono verso il cielo, dando origine a grandi fiori e a rami giovani di altre piante.
Ogni riquadro è sormontato da una grande conchiglia stilizzata, che sembra quasi un ventaglio, ai lati della quale sono due colombe bianche, che ricordano quelle presenti in tante opere antiche romane.
Più in alto ancora sono dipinti un brano di cielo e un angelo in volo, rivolto verso il basso.
Il notevole repertorio figurativo è armonioso e splendente, evidentemente concepito non solo come riempitivo degli spazi di risulta. I colori intensi e i singoli dettagli richiamano la mia attenzione almeno tanto quanto le storie rappresentate, anch’esse ricche di particolari.
Vorrei avere un binocolo per mettere a fuoco tutti i dettagli che scorgo, dalla benda sugli occhi della testa appena tagliata a san Paolo, alle ustioni sanguinanti sul corpo di san Lorenzo, al fazzoletto bianco nella mano destra della donna che si asciuga le lacrime nel Martirio di San Pietro. Osservo con attenzione la scena della donazione della cappella e noto che il guanto bianco del pontefice, inginocchiato davanti a san Pietro, ha un segno dorato, quasi del tutto irriconoscibile dal basso. La cappella che il pontefice tiene in mano è un modellino proprio di questa nella quale mi trovo: vedo le finestre monofore, aperte nelle pareti e, sopra al tetto, una croce dorata che chiaramente non esiste più.
Nel ritratto, il papa committente indossa la tiara e veste il manto rosso papale, con il pallio che scende davanti a lui, accentuando il movimento che sta compiendo. Il papa è enorme: basta vedere le dimensioni del suo piede destro per comprenderlo.
I suoi occhi sono azzurri.
Mi muovo per raggiungere l’altare e vedere l’immagine Acheropita, cioè “non realizzata da mano umana”, dipinta a cera su tela di lino, incollata su tavola di noce. L’immagine di Cristo, risalente forse all’VIII secolo, è rivestita da una copertura in argento, commissionata da papa Innocenzo III (1198-1216).
Mi avvicino per vedere il mosaico che decora la volta del piccolo presbiterio: raffigura Cristo Pantocratore, o onnipotente, in atto di benedire, entro un clipeo, sorretto da quattro angeli. Anche questo mosaico risale alla fine del XIII secolo e fu verosimilmente eseguito dagli stessi artisti, attivi in cappella e i cui nomi sono al momento sconosciuti.
L’altare di marmo è un vero e proprio forziere che custodisce ancora parte del tesoro del Sancta Sanctorum.
Attraverso la grata del XVI secolo, posso vedere gli sportelli di bronzo del XIII secolo, dietro i quali si trova la cassa cypressina, donata all’Oratorio di San Lorenzo da papa Leone III (795-816) per proteggere le venerate reliquie.
Quando decido di uscire, mi avvicino alla parete destra del piccolo androne dove si trova la lastra con la firma di Cosma.
Che emozione leggere Magister Cosmatus fecit hoc opus “il maestro Cosma fece quest’opera”.
Chissà che non sia sempre lui l’ideatore della complessa ed interessante decorazione pittorica e musiva della cappella che certamente progettò e portò a termine con i suoi collaboratori.
La sua bottega, che oggi potremmo definire “scuola” o “studio”, era molto famosa nel medioevo e lavorava instancabilmente e simultaneamente in molti cantieri, conseguendo risultati importanti e raggiungendo vette altissime dell’arte, come questa.
Esco e la custode chiude, dietro di me, la porta della cappella, isolandola nuovamente dal resto del mondo e restituendola, come è giusto che sia, al suo silenzioso spazio venerato.