di Claudia Viggiani
A 45 Km da Roma sorge l’Ipogeo delle Macerine a Manziana, il nome della quale deriva dal latino lapis anitianus, o pietra “anitiana” estratta secondo la tradizione, a partire dall’epoca romana, dalle cave della famiglia Anicia.
Questa roccia, ricordata nel libro I del De Architectura, scritto da Vitruvio Pollione nel 27 a.C., era composta da lava granitica o feldspatica, simile alla trachite, e presentava eccellenti proprietà costruttorie e decorative, tanto che fu utilizzata a Roma nella costruzione del portico del Foro Olitorio, il mercato dei legumi e delle verdure, posto alle pendici del Campidoglio.
Dalle testimonianze giunte sino a noi si deduce che il territorio di Manziana fu frequentato assiduamente già in epoca preistorica e abitato stabilmente da etruschi e romani che costruirono necropoli, strade, ponti, acquedotti e luoghi di culto.
L’Ipogeo delle Macerine – che alcuni ritengono essere stato un santuario dedicato al culto del dio Mitra – doveva in realtà essere un traforo, fruibile e funzionale, creato per superare gli ostacoli maggiori rappresentati dall’orografia del territorio.
Questa “strada in galleria” fu probabilmente un riadattamento in epoca romana di un’opera di età falisco-etrusca o addirittura greca, così come accadde per la Cava Buia di Fontibassi, presso Civita Castellana, o per la Cava di Norchia, entrambe nel Viterbese.
La galleria di Manziana, lunga circa 130 metri, passa sotto la collina dell’Occhialone, situata nei pressi del bosco di Macchia Grande, e potrebbe essere stata inizialmente aperta per estrarre il lapis anitianus.
La cava fu trasformata poi in un camminamento sotterraneo, una via per cryptam, in sostituzione di una più antica via per colles, che permettesse l’attraversamento rapido della collina, ottimizzando il percorso e rendendo molto più veloce e confortevole il collegamento, anche in relazione ad attività difensive e militari.
La galleria rettilinea doveva quindi essere un antico traforo stradale, forse a doppia carreggiata e per questo con una volta a botte piuttosto alta e numerose piccole nicchie sulle pareti laterali, riservate ad accogliere le fonti di illuminazione. Sulla volta erano predisposti pozzi che garantissero sia la diffusione della luce in alcuni punti strategici del tunnel sia la circolazione dell’aria.
La presenza di nicchie quadrangolari, forse botteghe allineate, poste con una certa regolarità sulle pareti laterali lascia infine ipotizzare che la galleria, percorsa innanzitutto da carri, necessitasse di vani funzionali che potessero anche consentire il passaggio di carichi voluminosi e al contempo permettesse lo scarico di materiale utile a mantenere percorribile il privilegiato e sicuro percorso sotterraneo.
L’ampio spazio antistante l’accesso alla galleria poté invece essere usato come area di manovra per i carri che provenivano da direzioni opposte.