di Claudia Viggiani
Qualche giorno fa ho avuto la fortuna di entrare a Villa Madama a Monte Mario per motivi di lavoro, nonostante la residenza, ideata da Raffaello Sanzio, sia inaccessibile al pubblico in quanto destinata alle attività istituzionali del Ministero degli Affari Esteri.
Il fascino dell’opera è dovuto in parte all’architettura incompiuta ma soprattutto alla ricchezza delle decorazioni che rivestono le pareti e i soffitti degli ambienti principali, decorati da Raffaello e dai suoi più stretti collaboratori, tra i quali i bravissimi Giovanni da Udine, Baldassarre Peruzzi e Giulio Romano.
Nel 1517 il Capitolo di San Pietro acquistò il terreno a Monte Mario molto probabilmente per soddisfare la richiesta del pontefice Leone X Medici che voleva costruire per sé e per la sua famiglia, una residenza suburbana che ricordasse gli estesi Horti imperiali, tra i quali la Domus Aurea di Nerone, da poco riscoperta sul colle Oppio all’Esquilino. La progettazione di massima fu affidata a Raffaello Sanzio, già impegnatissimo in cantieri di notevole rilevanza quali la Basilica di San Pietro, le cosiddette Stanze di Giulio II, le Logge vaticane e le commissioni per il potente banchiere senese Agostino Chigi.
I lavori per la villa del papa erano iniziati sicuramente prima del 16 giugno 1519, giorno in cui Baldassarre Castiglione scrisse una lettera ad Isabella d’Este, marchesa di Mantova, alla quale riferì di “una vigna anchor del rev.mo Medici che sarà cosa excellentissima. Nostro Signore [il papa] vi va spesso, e questa è sotto la croce di Monte Mario”.
Raffaello progettò un edificio avvolto da giardini panoramici e terrazze digradanti verso il Tevere, sviluppato intorno ad un cortile circolare del quale oggi rimane solo un emiciclo. Rimasta incompiuta alla morte del Sanzio nel 1520, l’opera fu proseguita da Antonio da Sangallo il Giovane, che faticò non poco per portare avanti il progetto originario senza poterlo comunque completare. Il terreno si rivelò infatti estremamente friabile e i lavori di terrazzamento del colle apparvero subito complessi e più costosi del previsto. Nel 1521, morto anche papa Leone X, il cantiere fu chiuso per essere poi riaperto nel 1523 con l’elezione di papa Clemente VII Medici, cugino di primo grado del defunto Leone X, dal quale egli stesso era stato creato secretarius intimus, ovvero responsabile della direzione degli affari di Stato.
Molto di ciò che vediamo oggi fu compiuto entro il 1524, anno in cui Giulio Romano lasciò Roma, e i successivi due anni in cui Giovanni da Udine portò a termine gli stucchi.
La dimora fu abbandonata nel 1526, a causa del difficile clima che si era instaurato a Roma dopo la Lega di Cognac, che aveva spinto Carlo V a radunare in Italia truppe formate in gran parte da mercenari spagnoli e tedeschi di fede luterana, i lanzichenecchi.
Dopo il 1537 la villa passò a “madama” Margherita d’Austria, duchessa di Parma e Piacenza, dalla quale prese il nome, e dal 1735 ai Borbone di Napoli che nel 1913 la vendettero a Maurice Bergès, ingegnere industriale di Tolosa, che commissionò a Pio Piacentini la scala a lumaca, ad imitazione di quelle rinascimentali. Nel 1935 la famiglia Dentice di Frasso divenne proprietaria della villa che nel 1940 fu infine acquistata dallo Stato italiano.
Dopo una lunga camminata, raggiungo l’esedra che costituisce da sempre l’ingresso ufficiale dell’edificio e cerco di ricostruire con la mia mente il progetto originario di Raffaello, rimasto incompiuto. Oltrepasso il vestibolo e lentamente arrivo nella Loggia.
Non sono sola e la persona che è con me visita per la prima volta questo luogo. Prendo tempo affinché gli occhi possano adeguarsi a tanta bellezza. È tutto così incantevole che l’emozione cresce fino a diventare fortissima. Quando ci avviciniamo ad un pilastro e vediamo gli stucchi strepitosi, realizzati da Giovanni da Udine, il cuore sembra arrestarsi.
Rimango in silenzio, nessuna parola è più potente delle immagini. Sento i battiti riprendere ed aumentare nel momento in cui mi sposto per cercare di raccogliere in me tutta l’ampiezza della Loggia e la grandiosità della decorazione. Impossibile. Tutto troppo immenso per rinchiuderlo in uno sguardo. Gli stucchi di Giovanni da Udine sono lontani e richiedono calma e considerazione. Sono fragili ma hanno resistito alle intemperie naturali e alla violenza disumana dei lanzichenecchi che, uniti ai Colonna, occuparono la villa, nel maledetto saccheggio di Roma del 1527.
La forma della Loggia ricorda quella delle sale degli antichi impianti termali romani, così come gli stucchi sono ispirati a quelli della Domus Aurea, nella quale Giovanni si recò senza dubbio per studiare la tecnica.
Gli affreschi cinquecenteschi rappresentano soggetti mitologici e quelli della cupola centrale, al centro della quale si trova lo stemma del cardinale Giulio de’ Medici – che aveva seguito i lavori per il cugino Leone X, prima di diventare egli stesso pontefice con il nome di Clemente VII – raffigurano le quattro stagioni, i quattro elementi, le sette divinità planetarie alludenti ai giorni della settimana e le Ore del giorno.
Dalla Loggia, un tempo aperta, usciamo nel giardino dove si trovano i Giganti di Baccio Bandinelli. Incontriamo la fontanella con l’effige di Annone, l’elefante bianco amato da papa Leone e camminiamo sui viali che oramai è quasi sera. Guardo il cielo: è rosso. Rimango immobile e penso a Johann Wolfgang Goethe che nei suoi Ricordi di viaggio in Italia scrisse che il tramonto del sole a villa Madama – come altri fenomeni della natura a Roma – provocarono in lui una “viva e profonda impressione”.
Mentre cerco di imprimere nella mia memoria questo intenso sentimento della natura e della bellezza di un’arte senza tempo, mi incammino all’uscita. Per un istante credo che non ci sia al mondo un altro luogo così infinitamente poetico. Volgo lo sguardo verso la villa, come faccio sempre prima di andare via da qualcuno o qualcosa che amo.
Oramai è quasi buio e mentre lascio la persona che è con me, penso che questo è un paradiso terrestre dove l’arte e la bellezza hanno un valore immenso, inimmaginabile e al di sopra di ogni possibile stima.