di Claudia Viggiani
Siamo ritornati da un viaggio in Israele dove, oltre a Tel Aviv e Gerusalemme, abbiamo visto il Lago Tiberiade, il Mar Morto e alcuni siti archeologici dislocati in differenti aree geografiche – incluso il territorio palestinese nel quale abbiamo visitato Betlemme.
Il viaggio è stato molto intenso ed emozionante per la storia e la stessa geografia di questa regione, situata in Medio Oriente, lungo una sottile striscia che collega l’Africa all’Asia.
È difficile raccontare i mutevoli passaggi di questa zona, abitata da popoli fieri, culla e scenario di vicende antiche.
Così com’è difficile comprendere appieno le mille sfaccettature di Gerusalemme e i simboli delle tre principali religioni monoteiste che coesistono in una terra tanto diversa e da sempre in conflitto.
Questa striscia di terra è la terra promessa da Dio al popolo ebraico, la terra promessa ad Abramo e alla sua discendenza; è la terra in cui è nato, morto e risorto Gesù ed è anche lo stesso luogo in cui Maometto, profeta dell’Islam, giunse al termine del suo miracoloso viaggio e da cui misticamente ascese al cielo.
Questa terra “santa” per gli ebrei, per i cristiani, per i musulmani, è abitata da uomini e donne che hanno conosciuto, e conoscono ancora oggi, drammatici momenti di rifiuto e d’intolleranza, connotati da incomprensibili e inaccettabili violenze. Per questo Israele tenta oggi – attraverso esperienze di rinascita e di dialogo fra popoli e culture – di ispirare nuova speranza alle generazioni future che vivono in questa landa di terra, spesso desolata.
Non è facile viaggiare in Israele e in Palestina; perché non è facile conoscere la storia antica e la più recente questione medio-orientale, o israelo-palestinese.
E se il viaggio nasce da un desiderio di conoscenza, o da un bisogno di scoprirsi attraverso un percorso di ricerca personale, allora è ancora più importante costruire l’esperienza di questo viaggio, cercando di vedere i molteplici aspetti del luogo, delle culture, delle religioni, senza pregiudizi e condizionamenti che nascono e persistono nella mancanza di informazione e di approfondimento culturale.
Visitare lo Stato ebraico e i territori palestinesi vuol dire cogliere pienamente i sentimenti e gli stati d’animo degli abitanti dei luoghi, che così fortemente esprimono un bipolarismo sfaccettato. Da una parte Israele, dove religione è sinonimo di appartenenza nazionale, dall’altra la Palestina, dove l’unione culturale e la costante presenza territoriale rivendicano ufficialità e autonomia per uno stato di fatto.
Queste due anime così profondamente distinte costringono il visitatore attento e sensibile a comprendere la “Terra contesa” da Egizi e Nabatei, Fenici e Filistei, Greci, Romani, Bizantini, che – insieme a israeliti, musulmani, cristiani – sono stati, più o meno tutti, nei secoli, desiderosi sia di dominare una strategica porta commerciale sul Mediterraneo, sia di sfruttare le ricche miniere di rame e i terreni fertili della valle del Giordano.
Non è facile prepararsi al viaggio in Israele e nei territori palestinesi. Bisogna leggere e studiare; e non solo i testi inerenti un popolo o la storia delle varie religioni, che come in nessun altro posto al mondo qui convivono così forzatamente. È necessario anche comprendere la geografia, il territorio e il clima per capire situazioni che a noi “stranieri” risultano complesse.
Paesaggi desertici e colline verdeggianti fanno da sfondo a strepitosi siti archeologi e a un’eccellente rete di servizi che rendono agevole la visita di luoghi dove il passato convive con un brillante e innovativo futuro.
Nonostante ciò Israele appare come terra molto condizionata dalle pressioni sociali e ideologiche; dominata dalle tradizioni e controllata da una cultura diffusa che nasconde male i vincoli di appartenenza alle differenti religioni.
Quello che si vede è una realtà composita, segnata da profonde fratture sociali, dovute all’appartenenza etnica, alle convinzioni religiose e politiche e a un sempre maggiore divario fra ricchezza e povertà.
Ovunque si vada si percepisce l’amore per la propria cultura e dall’altro un senso di prigionia unito al desiderio di restare in quello che molti cittadini considerano l’unico rifugio per il loro popolo.
Eppure alla fine del viaggio rimane il ricordo del senso di leggero peregrinare, da un posto all’altro, per ammirare la bellezza dei luoghi che con le loro stratificazioni spiegano al turista, allo studioso o all’appassionato di storia, il continuo divenire del tempo in quest’area del mondo.
Si può essere rapiti dalla maestosità spirituale delle preghiere, ritmate ai piedi del Muro Occidentale, nel quale sono inseriti migliaia di bigliettini bianchi pieni di intime e universali preghiere.
Così come ci si emoziona davanti a donne e uomini raccolti in preghiera nella sorprendente Spianata delle moschee, uno dei luoghi più contrastati del pianeta, dove le religioni ebraica, cristiana e musulmana si sono scontrate per secoli.
E nonostante le masse indisciplinate di turisti indiscreti, ci si commuove al pensiero di una giovane Maria partoriente nella Grotta della Natività, forse il luogo cristiano per eccellenza.
In questi e altri luoghi, nonostante le differenze sociali, si sente più forte il fascino di una terra dove cristiani, musulmani, ebrei e atei tutti, almeno una volta, dovrebbero andare per imparare a vedere senza pregiudizi e per ascoltare senza avere la fretta di rispondere.
Tutto quello che siamo lo portiamo con noi nel viaggio. Portiamo con noi la casa della nostra anima, come fa una tartaruga con la sua corazza. In verità, il viaggio attraverso i paesi del mondo è per l’uomo un viaggio simbolico. Ovunque vada è la propria anima che sta cercando. Per questo l’uomo deve poter viaggiare.
Andrej Arsen’evič Tarkovskij, Tempo di viaggio, 1983
Foto Claudia Viggiani