di Claudia Viggiani
A Roma si conserva una statua che fu inizialmente abbozzata da Michelangelo Buonarroti e poi rielaborata e terminata da Nicolas Cordier, detto il Franciosino, all’inizio del Seicento.
La statua è collocata all’interno dell’Oratorio di Santa Barbara a Roma, in posizione tale da raffigurare il benedicente pontefice in atto di contemplare il triclinium, la mensa alla quale era solito accogliere dodici poveri, tra i quali una volta apparve un angelo.
Secondo i documenti giunti sino a noi, una statua “sbozzata e non finita”, raffigurante “San Pietro in abito di papa” si trovava nella casa di Michelangelo in Macel de’ Corvi, “in una stanza del piano terra, coperta a tetto” [1].
È probabile che il marmo abbozzato dovesse raffigurare san Pietro, secondo il primo progetto della sepoltura di Giulio II, da realizzare in pendant con San Paolo, anch’esso pensato e mai realizzato.
Se così fosse, il lavoro michelangiolesco risalirebbe al primo decennio del Cinquecento e sarebbe rimasto nello stato di non-finito per circa cent’anni .
La prima e più significativa testimonianza dell’esistenza di questa scultura si trova nell’Inventario dei beni redatto il 19 febbraio 1564, due giorni dopo la morte di Michelangelo, sopraggiunta all’età di 89 anni (non ancora compiuti) nella sua casa-studio di Roma [2].
Le opere rimaste nell’abitazione di Michelangelo furono inventariate a scopo legale da Roberto Ubaldini, un funzionario del Tribunale di Roma, alla presenza di una delegazione inviata dalle autorità pontificie, di concerto con l’ambasciatore fiorentino a Roma. L’elenco era estremamente sintetico ma sufficientemente preciso, al fine di evitare equivoci, nel momento in cui le opere di Michelangelo fossero state messe in vendita.
L’Inventario enumerava tutto ciò che si trovava nell’abitazione di Michelangelo, inclusi denari, oggetti personali, mobili e suppellettili che testimoniavano lo stile di vita alquanto austero del grande maestro toscano. Tra le opere catalogate, oltre alla statua non-finita di San Pietro, si annotavano circa dieci cartoni [3] e altre sculture, tra le quali quella successivamente identificata con la Pietà Rondanini[4], e un piccolo Cristo portacroce, verosimilmente un bozzetto di un statua di dimensioni maggiori, forse quella acquisita da Metello Vari e ora conservata a Bassano Romano.
L’elenco delle opere, sia che fossero bozzetti o sculture non-finite, interessava specialmente ai collezionisti e agli amatori di alto rango che se le contendevano, anche solo per il valore del marmo utilizzato da Michelangelo [5].
Il marmo abbozzato rimase nella casa di Michelangelo per un lungo periodo, anche quando, nel 1566, il nipote di Michelangelo aveva sperato che fosse acquistato per portare a termine il monumento funebre di papa Paolo IV, assiso in trono, sopra un’urna in portasanta, nella cappella Carafa nella Chiesa di Santa Maria sopra Minerva [6].
Dallo stato attuale di conservazione della Pietà Rondanini, ora al Castello Sforzesco di Milano, anch’essa non-finita, possiamo immaginare quale fosse lo stato dell’abbozzo del “San Pietro in abito di papa” nel momento in cui fu acquisito dal cardinale Baronio per essere rilavorato dal Franciosino. In base alla tecnica di Michelangelo [7] – che lavorava “per forza di levare”, come egli stesso diceva, secondo un gesto che tendeva a liberare la figura, preesistente e come imprigionata nella pietra – è ipotizzabile che gran parte della gamba destra fosse stata quasi del tutto scolpita, così come l’avanbraccio corrispondente. È anche possibile pensare che il busto, il viso, la parte posteriore e quella sinistra del corpo – che ipoteticamente era già stata assottigliata – e il piede destro fossero stati invece solo scalpellati.
Il procedimento dello “scolpire senza finire” di Michelangelo era sempre lo stesso, così come si può ancora vedere anche in altre sue opere, quali i Prigioni della Galleria dell’Accademia a Firenze.
In queste sculture Michelangelo lasciò incompiuta una parte del blocco di marmo che presenta una superficie scabra, con i segni dello scalpello, dalla quale fuoriescono le forme delle membra modellate e articolate nello spazio compreso tra la materia e lo spettatore. Altre parti sono, al contrario, levigate e lucide, e animano la pietra con un inquieto movimento primordiale, che sembra alludere alla fatica delle stesse di uscire dalla massa marmorea.
Nel 1602 la statua di “San Pietro in abito di papa” fu finalmente venduta da Orazio Zappata, procuratore degli eredi di Michelangelo Buonarroti, a Cesare Baronio per quaranta scudi.
Il 15 giugno 1602, due mesi dopo essere stato nominato titolare dell’abbazia di San Gregorio al Celio, il cardinale Baronio ne aveva ordinato ingenti lavori di restauro, che avevano avuto inizio dal “Triclinum Pauperum”, o oratorio di Santa Barbara, la più antica delle tre cappelle dell’antico monastero, fondato da Gregorio nel suo palazzo di famiglia [8].
In quell’occasione, Baronio commissionò a Nicolas Cordier una statua, in marmo bianco, raffigurante papa Gregorio, da porre entro un’edicola sulla parete di fondo dell’oratorio. Fu allora che avvenne l’acquisto dell’abbozzo del “San Pietro in abito di papa” di Michelangelo che, di lì a breve, si sarebbe trasformato in “San Gregorio in cattedra”.
Nicolas Cordier lavorò nel suo studio, scolpendo il lato lasciato incompiuto da Michelangelo (destro per chi guarda) e lavorando la testa e la colomba a parte, utilizzando due pezzi di marmo di qualità alquanto diversa.
Il lato sbozzato da Michelangelo (sinistro per chi guarda) mostrava una figura seduta, con il volto appena accennato nel marmo, con la gamba destra avanzata e il braccio corrispondente sollevato nell’atto di benedire. Indossava un piviale con una manica ampia.
Nicolas Cordier modificò il “San Pietro in abito di papa” rimodellando il torso e ultimando la ciabatta destra con lastre di marmo rosso.
Cordier rilavorò inoltre le superfici della veste liturgica, impreziosendola con un’abbondanza di ornamenti e pieghe nel tessuto che cade pesantemente a terra. Anche la cintura fu molto probabilmente ritoccata con l’inserimento del fiocco.
Quando la statua fu inaugurata il 2 novembre 1602, per la festività dei morti, nessuno notò le due diverse mani degli scultori che l’avevano realizzata, nonostante l’impronta michelangiolesca fosse evidente nell’impianto generale della figura e nel trattamento della parte destra, in particolare dal busto in giù.
Nicolas Cordier aveva fatto del suo meglio per tirare fuori dal marmo abbozzato da Michelangelo la sua prima scultura pubblica che lasciasse poche ma chiare tracce del lavoro del grande maestro toscano.
Tra le sporadiche notizie che accennarono all’abbozzo del “San Pietro in abito di papa” di Michelangelo, spicca quella del 1638, anno in cui il libraio-editore e incisore Pompilio Totti, che aveva la bottega a Piazza Navona, aveva annotato che, in un Oratorio del Celio, si poteva vedere una statua raffigurante san Gregorio, inizialmente abbozzata da Michelangelo e successivamente terminata da Nicolas Cordier, detto il Franciosino [9].
La notizia, sorprendentemente precisa riguardo l’attribuzione dell’abbozzo a Michelangelo, fu poi ripresa da Giovanni Baglione che, nel 1642, nella biografia di Nicolas Cordier, aggiungeva che lo scultore, su committenza del Cardinal Baronio aveva trasformato l’abbozzo di Michelangelo in papa Gregorio Magno e che la statua si trovava nell’oratorio con la “Tavola, ò Triclinio del Santo” al Celio [10].
A guardarla con attenzione, la statua mostra alcune significative differenze stilistiche e tecniche tra la parte di Michelangelo e quella di Nicolas Cordier [11].
Per cogliere al meglio queste differenze è sufficiente muoversi da sinistra verso destra, apprezzando lo stile più sobrio dell’abbozzo cinquecentesco e quello più vivace della decorazione dei primi anni del Seicento che, nel movimento delle pieghe dei tessuti e nell’espediente di nascondere sotto le vesti la gamba arretrata, mostra le nuove tendenze del gusto artistico, che il giovane Cordier – già stimato restauratore di statue antiche – seppe recepire e applicare.
[1] Andrea Donati, Ritratto e Figura nel manierismo a Roma, 2010, pp. 33-37.
[2] L’inventario dei beni è conservato presso l’Archivio di Stato di Roma, Tribunale criminale del governatore di Roma (1505-1871), Miscellanea artisti 1521-1814 (composta prevalentemente di atti processuali e di suppliche al governatore, costituita dall’archivista Antonio Bertolotti), b. 9, fascicolo 501 (Miscellanea della Soprintendenza).
[3] Ernst Steinmann, Cartoni di Michelangelo, Bollettino d’arte del Ministero della pubblica istruzione: notizie dei musei, delle gallerie e dei monumenti d’Italia, Anno 5, ser. 2, n. 1 (luglio 1925), pp. 3-16.
[4] Antonio Paolucci, Michelangelo ultimo giorno, Il Sole 24 ore, 16-02-2014, p.42.
[5] “In una stanza a basso, coperta a tetto: una statua principiata per uno santo Pietro, sbozzata e non finita. Un’ altra statua principiata per un Cristo et un’altra figura di sopra, attaccata insieme, sbozzata e non finita. Un’ altra statua piccolina per un Cristo con la croce in spalla e non finita”.
[6] Il maestoso monumento a Paolo IV, fatto erigere da papa Pio V nel 1566, su disegno di Pirro Ligorio, fu scolpito dai fratelli Giacomo e Tommaso Cassignuola.
[7] “Sogliono gli scultori, nel fare le statue di marmo, nel principio loro abozzare le figure con le subbie, che sono una specie di ferri da loro cosi nominati; i quali sono apuntati, et grossi; et andare levando, et subbiando grossamente il loro sasso,; et poi con altri ferri detti calcagnuoli, c’hanno una tacca in mezo, et sono corti, andare quella ritondando, per fino ch’eglino venghino a un ferro piano più sottile del calcagnuolo, che ha due tacche, et è chiamato gradina”.
Giorgio Vasari, Le vite de più eccellenti pittori, scultori e architetti, 1568, vol. I, p. 35.
[8] Papa Gregorio Magno (Roma, 540 circa – Roma, 12 marzo 604), fu eletto papa il 3 settembre 590. La Chiesa cattolica lo venera come santo e dottore della Chiesa. Prima di diventare papa, fu funzionario del governo bizantino di Roma e, dal 573 circa, praefectus Urbis. Poco dopo decise di aderire alla vita monastica e di fondare sei monasteri in Sicilia, dotandoli di possedimenti provenienti dal suo patrimonio personale. Similmente fece a Roma trasfomando la casa paterna sul clivus Scauri, nel monastero di Sant’Andrea, dove egli stesso si ritirò in meditazione e preghiera.
[9] Ritratto di Roma moderna, Roma 1638, p. 145 “La statua di S. Gregorio fù abbozzo di Michelangelo, e poi finito dal Franciosino”.
Il Ritratto di Roma moderna si presentava come una nuova tipologia di guida, organizzata per rioni e per giornate, con la descrizione degli edifici e alcuni disegni illustrativi.
[10] Le Vite De’ Pittori, Scultori Et Architetti: Dal Pontificato di Gregorio XIII del 1572 In fino a’ tempi di Papa Urbano Ottavo nel 1642, Roma 1642, p. 115.
[11] Vedi Gregoire Extermann, Il michelangiolismo ‘anticortigiano’ di Nicolas Cordier, in “Dopo il 1564. L’eredità di Michelangelo a Roma nel tardo Cinquecento”, Roma 2016, p. 166.
Foto Claudia Viggiani